Il 27 maggio saranno passati cinquant’anni dalla morte di Antonio Ligabue. Ne parleranno in molti. Ispirato alla sua figura è in scena uno spettacolo teatrale dal titolo Un bes – Antonio Ligabue (prima tappa del progetto Ligabue. Arte, marginalità e follia di e con Mario Perrotta) che, insieme al documentario del regista Andreassi, (https://www.youtube.com/watch?v=B5kAhWA-Bko) avvicina la figura tragica e poetica che Ligabue è stato.
Con un termine contemporaneo diciamo che fu senz’altro uno tra i più famosi “pittori outsider” riconosciuti dal secolo scorso. Ebbe una vita difficile e fu sempre tenuto ai margini perché troppo strano – il matto del paese – fino a quando i compaesani non scoprirono il suo divenuto “valore mercantile”.
Dal canto nostro gli rendiamo omaggio attraverso le parole di Cesare Zavattini tratte dal libro Ligabue, uscito per le edizioni Bompiani nel 1984 (nel 1974 già pubblicato da Scheiwiller) e ormai alla quarta edizione.
Questo pittore nacque nel novantanove
da una friulana e padre incerto
a Zurigo.
Dodicenne vide
morire l’adorata madre
e due fratelli
per ingestione di carni infette.
Dopo si sa soltanto che visse
Presso una famiglia tedesca
Nel cantone di San Gallo.
(…)
A torto sospettandolo reo della sciagura familiare
Antonio odiò il patrigno nativo di Gualtieri
da cui ebbe
il nome
Laccabue (e le conseguenze di legge) che
si scrollò di dosso nel quarantadue
con un quadro regalato al messo comunale
e diventò Ligabue.
Pare non fosse sempre cupo nei primi tempi
godeva ad essere buttato vestito dentro l’acqua
delle pozze golenali.
Una volta gli misero sterco nel brodo
faceva allora il cariolante
(…)
Sul sentiero d’assi del terrapieno
il forestiero dalle braccia deboli
traballava col suo strumento di lavoro
finchè andava a gambe all’aria
tra le risate dei compagni
anticipate da una propria
per assolverli
cioè credo tentasse di legare
malgrado la sua misantropia
congenita quanto la nostra cattiveria.
Infine si appartò con gli animali
di cui divenne padre
in un folto nei pressi del Crostolo
affluente del Po,
Qualcuno mi ha parlato
dei primi suoi leopardi
sui mattoni dei portici
fatti col gesso disinteressatamente
finchè incontrò Mazzacurati
il quale aveva nella testa
i colori della scuola romana
e secondo Alfredo Mezio proprio con questi lo influenzò.
Ma non amava chi gli dava consigli.
Non piangeva con facilità eppure – sembra
inventato – davanti a una rosa
una volta scoppiò in lacrime.
(…)
Sento dire che bisognava
essere più umani con Toni.
Sono stanco di questi dire
sarebbe ora di fare
rapinatori omosessuali santi
un corteo con cartelli
contro qualche cosa
da odiare uniti (parole).
I bambini lo inseguivano
scappavano appena si voltava
le ragazze si ritiravano dalle soglie
al suo apparire
(…)
Si meritò con l’arte medaglie d’oro
tuttavia seguitavano a
strizzare l’occhio al caffettiere
per ricordargli di lavare bene il bicchiere
nel quale il premiato
aveva bevuto la birra che gli piaceva tanto.
Io stesso non gli tesi la mano
quando lo conobbi nel cinquantasei
dal naso gli colava del muco
da noi chiamato la michela,
un grumo di saliva gialla
era sempre rappreso all’angolo della bocca.
(…)
Studiavo il modo di salutarlo e non toccarlo.
Lo lasciai sotto i portici
con un abbraccio mentale per farmi perdonare
il non abbraccio reale
Gli sarebbe piaciuto
contro il vento camminare
con un gran cane a lato
i gambali e i risvolti larghi
di una divisa, l’occhio aggressivo che
si intenerisce e chiede
pietà per tutti
(…)
Gli occhi di Ligabue
li ritroviamo all’improvviso
riconoscibili e scrutatori
in un cavallo o un pollo
dei suoi quadri.
Forse gli animali
vedono le cose quali sono
per questo tentava
di trasformarsi in loro.
La banda municipale suonava qualche cosa di solenne
seguivano i possessori delle sue opere
ogni passo verso il cimitero
ne aumentava il prezzo.
Stagionatori di formaggio
Oggi stagionano i quadri di Ligabue.
(…)
Anche gli intellettuali si domandavano: valeva storicamente?
Cara Marisa
d’accordo che coi naïfs (se Ligabue lo era)
non si svolge il discorso della pittura
però credi che con gli altri pittori (…)
ci si avvicini di più
a? (scegli tu la parola …)
(…)
E vero in ogni modo quanto segue:
ululava
se dipingeva lupi
ruggiva se dipingeva leoni
è vero. Si arrotava il naso contro il muro
per averlo adunco
voleva essere aquila.
Quando il cielo è sereno
come è bella la vita
poi una nuvola di colpo
ripristina che il tradimento c’è.
(…)
Salutava levandosi il cappello.
Ficcava il naso nelle fessure degli alberi
per fiutare l’odore del legno avidamente
(…)
Disse davanti alla cappella Sistina
non è pittore chi non mette in un quadro le bestie
Opinano che questo tipo di artisti
sono decorativi e fuori dalla realtà.
Ligabue nella giungla
riusciva a sistemare le foglie tropicali
con la grazia
di una educanda al tomboliere
agognava una quiete ottocentesca
ma la lotta degli animali
era datata come la prima pagina del giornale di stamane.
Quel tremendo ragno detto vedova nera
in cima ai suoi pensieri
potrebbe uscire dalla tela di minuto in minuto.
A suo modo il giudizio universale
era un giorno di fauci spalancate
Ligabue in un dipinto nel quale
uno stambecco attende addosso
il balzo della tigre
e il terrore istintivo
si muta in coscienza di sconfitta
egli è l’uno e l’altra.
Così trascorse la sua vita.
Quel salto del leone
nell’azzurro piombante
sulla zebra
suscita invidia.
(…)
Che cos’è l’arte?
Lo stesso impasto di pane
il sapore è diverso
se muta la forma.
(…)
Ora sorgono le domande
scriveva lettere il Nostro? ne riceveva?
Era un genio senza talento? così lo definì
Lorenza Trucchi
leggeva il giornale?
quale?
la sera di Natale
con chi andava?
seguiva il campionato di calcio?
Ha mai pensato al suicidio? era stitico?
Avrei voluto vederlo scegliersi una cravatta.
Amava o odiava la nebbia che da noi
divide l’anno in due stagioni?
(…)
Se dovessi narrare in una riga
la storia di Ligabue
direi era meraviglioso come noi.